L'artroscopia d'anca

Inviato da AA il Lun, 04/05/2021 - 08:16

L'artroscopio consente di vedere su uno schermo le lesioni dell'anca e guida il chirurgo nella riparazione

L’intervento di artroscopia consiste nel “riparare” le strutture articolari dell’anca attraverso tecnica artroscopica. Con l’utilizzo di sole due o tre incisioni della lunghezza massima di un centimetro e mezzo ciascuna, in sede laterale alla coscia, il chirurgo Ortopedico specializzato può accedere all’articolazione dell’anca danneggiata. Si introduce uno strumento ottico a cui è connessa una telecamera (ottica o artroscopio) ed uno o più strumenti dedicati, attraverso i quali si possono riparare le lesioni presenti nell’anca, visibili sullo schermo. Questa tecnica consente, quindi, di accedere all’articolazione dell’anca, situata in profondità delle masse muscolo-fasciali della coscia e del bacino in maniera mininvasiva.

In un intervento ortopedico classico “open” è necessario effettuare un’incisione cutanea della lunghezza di diversi centimetri, incidere allo stesso modo la fascia muscolare, scostare o sezionare la muscolatura interposta, avendo cura di non danneggiare strutture vascolo-nervose delicate. Una volta effettuato l’intervento all’anca, nella chirurgia “open”, si richiudono i tessuti per strati avvalendosi di una notevole quantità di punti o suture chirurgiche. La ferita cutanea rappresenta, dunque, solo la parte superficiale del lavoro di ricostruzione dei tessuti profondi.

La tecnica artroscopica consente di accedere all’anca direttamente, attraverso dei tunnel (chiamati “portali”) del diametro di pochi millimetri, in genere due o tre. I tessuti profondi vengono perciò rispettati nella loro integrità.

Nella pratica questo significa:

  • scarso o nullo dolore postoperatorio;
  • condizioni favorevoli per il recupero muscolare e del movimento;
  • tempi di degenza ospedaliera estremamente ridotti;
  • possibilità di effettuare la riabilitazione postoperatoria a domicilio o presso centri specializzati, ambulatorialmente;
  • Minori rischi chirurgici (neurovascolari, settici, cutanei).

Analizziamo nel dettaglio i principali aspetti e cerchiamo di dare una risposta più semplice possibile alle domande che più di frequente mi vengono poste. Quanto spiegato nelle varie risposte si riferisce alla mia pratica quotidiana nell’Ospedale in cui lavoro: l'Istituto Clinico Villa Aprica


Come mai la tecnica artroscopica non si utilizza in tutti gli interventi chirurgici all’anca?

Perché’ mi è stato proposto dall’Ortopedico di fare un’artroscopia all’anca?

Come funziona l’intervento?

È un intervento impegnativo? Quanto dura? Avrò dolore?

Cosa succede dopo l’intervento?

Come sarò seguito/a dopo l’intervento?

È un intervento rischioso?


 

Come mai la tecnica artroscopica non si utilizza in tutti gli interventi chirurgici all’anca?

L’anca è un’articolazione molto congruente: la porzione articolare convessa del bacino, la coppa acetabolare, avvolge per gran parte della sua superficie la testa femorale. Queste due strutture ossee sono mantenute saldamente in contatto da una struttura di tessuti forti e resistenti: la capsula articolare. Gli spazi operativi sono dunque molto ridotti nell’artroscopia dell’anca. L’articolazione viene mantenuta nella sua anatomia originaria. Al massimo si applica una trazione meccanica all’arto inferiore per allontanare i capi articolari e permettere il passaggio degli strumenti chirurgici.

Per questo motivo, con le tecnologie attuali, sarebbe impensabile effettuare un intervento di sostituzione protesica dell’anca con tecnica artroscopica. La Protesi d’Anca può essere impianta con tecnica “open” mininvasiva, ma non in artroscopia.

La riparazione delle fratture dell’anca (dell’acetabolo o della testa femorale), non può ancora essere effettuata con tecnica artroscopica, in quanto spesso prevede il posizionamento di placche e viti, chiodi endomidollari o mezzi protesici di grosse dimensioni. In questi casi la tecnica artroscopica può essere adiuvante in situazioni molto particolari, ad esempio nella rimozione o nella fissazione di piccoli frammenti articolari.


 

Perché’ mi è stato proposto dall’Ortopedico di fare un’artroscopia all’anca?

L’intervento di artroscopia all’anca permette di agire su alcune cause effettive di sintomatologia dolorosa od alterazioni funzionali all’arto inferiore a partenza dall’anca.

Il paziente si presenta alla visita con un dolore localizzato di frequente a livello inguinale, a volte irradiato in regione anteriore della coscia fino al ginocchio. Altre volte, più raramente, il dolore è maggiore in sede laterale della coscia, a partenza da un punto preciso: il dolore peritrocanterico. Od ancora posteriore, a livello gluteo, in questo caso accompagnato da formicolii o “parestesie”.

Non di rado, sono stati compiuti accertamenti e terapie per sospette lombocruralgie o, in età giovanile e negli sportivi, per pubalgie mai davvero risoltosi, anche dopo molte sedute di fisioterapia o terapie fisiche e farmacologiche.

Con il tempo, i dolori diventano tali da non permettere di eseguire con facilità i più semplici gesti quotidiani come, per esempio, allacciarsi le scarpe.

La causa più comune in questi casi si chiama “conflitto femoro-acetabolare” o FAI (dall’inglese Femoro-Acetabular Impingement).

Il conflitto femoro-acetabolare definisce qualsiasi causa di “malfunzionamento” dell’anca dovuta a fattori meccanici:

  • Da deformità dell’osso: sono delle vere e proprie deformità che possono svilupparsi sul collo femorale (CAM) e sul bordo acetabolare (PINCER). Non solo possono portare a contatto diretto le strutture ossee nei movimenti dell’anca, ma “schiacciano” e producono infiammazione alle parti molli interposte. Così si creano lesioni al labrum acetabolare, alla capsula ed i legamenti dell’anca, alla cartilagine articolare.
  • Da microinstabilità: i continui micromovimenti disarmonici dei capi articolari dell’anca, secondaria a dismorfismi displasici, provocano usura delle strutture articolari e dolore. È spesso frequente in giovani pazienti di sesso femminile. In altri casi, molto più raramente, sono presenti fattori costituzionali di lassità legamentosa articolare o vere e proprie sindromi (ad esempio Ehlers-Danlos)

In casi selezionati e particolari, può esserci indicazione ad effettuare un intervento di osteocondroplastica artroscopica anche in casi di artrosi dell’anca o coxartrosi. Si tratta comunque di “un’eccezione”, i cui limiti e benefici per il paziente vanno discussi insieme con il chirurgo operatore caso per caso.

Un’ altra causa, meno frequente, ma spesso responsabile di comparsa di una sintomatologia grave ed improvvisa è la necrosi della testa femorale che subisce un vero e proprio infarto. Se il processo patologico è di recente comparsa ed i tessuti dell’anca non sono ancora rovinati e deformati, è possibile fermare la necrosi attraverso le biotecnologie e con un intervento dedicato che prevede la perforazione del collo del femore, fino all’osso sottostante la cartilagine articolare della testa femorale (core decompression).


 

Come funziona l’intervento?

La preparazione all’intervento avviene già in reparto dove viene effettuata dagli infermieri la tricotomia (si rasano i peli in corrispondenza della zona d’incisione in regione laterale della coscia, se presenti). Si accede, quindi, al blocco operatorio, trasportati sdraiati su una barella. In una stanza apposita, vengono effettuate le pratiche infermieristiche (identificazione del paziente, posizionamento degli accessi venosi, degli elettrodi ECG per il monitoraggio cardiaco, del bracciale della misurazione della pressione arteriosa al braccio e del saturimetro ad un dito della mano per il monitoraggio della saturazione), l’infusione dei farmaci (tra cui l’antibiotico di profilassi preoperatoria) e l’anestesia spinale, se concordata col medico anestesista. Infine, si accede alla sala operatoria vera e propria. Il paziente viene fatto passare dalla barella al letto operatorio e posizionato. Il pz indossa una vestaglia apposita che rimane per tutto l’intervento.

La posizione del paziente durante l’intervento sarà in decubito laterale, mantenuto da una speciale estensione del letto operatorio che consente di mantenere l’arto inferiore dell’anca da operare in trazione, quando necessario. È possibile che vengano usate delle spinte, cuscini o spessori per mantenere la posizione corretta o renderla più confortevole per il paziente. Il posizionamento del paziente viene effettuato dal chirurgo Ortopedico operatore, i suoi aiuti e gli infermieri di sala.

A questo punto i chirurghi escono ad effettuare un gesto fondamentale: il lavaggio e la disinfezione delle mani: da questo momento in poi verrà posta estrema attenzione affinché’ tutto ciò che entra in contatto col paziente nel sito chirurgico sia sterile. Al rientro dei chirurghi viene effettuato ad alta voce il controllo della “check list”: attraverso la risposta vocale degli operatori ad un elenco strutturato di domande, viene definitivamente controllato che tutto sia approntato ed in ordine per procedere all’intervento.

Vengono vestiti i chirurghi del camice sterile ed i guanti. Viene approntato il campo sterile, che prevede anche la costruzione di un sipario tra il paziente ed il campo operatorio. In questa fase si potrà temporaneamente essere coperti in viso da un telo, che nel giro di pochi istanti verrà alzato e fissato in modo più confortevole da un infermiere. Durante l’intervento è possibile che venga fornito ossigeno al paziente, tramite una mascherina.

Dopo la disinfezione della cute si procede all’intervento di artroscopia d’Anca.

I portali d’accesso all’articolazione (le piccole incisioni che vengono effettuate per poter introdurre l’ottica e gli strumenti necessari) vengono posizionati sotto controllo ampliscopico (cioè mediante l’utilizzo di radiografie istantanee scattate in sala operatoria). Si effettuano in regione laterale della coscia, in regione trocanterica.

In uno dei portali si inserisce l’artroscopio e si effettua l’artroscopia diagnostica: vengono visualizzate sul monitor collegato le lesioni per cui è stata posta indicazione all’intervento, confermandone la presenza ed individuandone le caratteristiche. La prima fase dell’intervento avviene nell’articolazione. È possibile accedervi grazie alla trazione che viene applicata sul lettino e permette di distanziare la testa del femore dall’acetabolo, creando lo spazio sufficiente per poter inserire gli strumenti. In genere il tempo di trazione necessario non supera i 30 minuti.

Le operazioni effettuabili sono:

  1. Release capsulare: nelle anche rigide, vengono sezionati od allungati i legamenti della capsula per permettere un miglioramento della libertà di movimento. Avviene spesso nell’artrosi.
  2. Ritensionamento o plicatura capsulare: attraverso dei punti di sutura si “tende” la capsula articolare. È richiesto nelle condizioni di iperlassità patologica dei tessuti che causa instabilità.
  3. Regolarizzazione o sutura del labrum acetabolare: nel caso di lesioni del labrum acetabolare, è possibile togliere la parte rovinata e regolarizzarla con radiofrequenze, oppure ripararla, con punti di sutura mantenuti in sede con ancorette metalliche avvitabili od in materiale sintetico ad espansione.
  4. Pulizia del fondo acetabolare con eventuale ritensionamento o riparazione del legamento rotondo.
  5. Condroplastica acetabolare: attraverso le “biotecnologie”, si può riparare la cartilagine lesionata della cavità acetabolare. In caso di lesioni medio/piccole per estensione e profondità può essere sufficiente l’innesto di fattori di crescita derivati dal tessuto adiposo sottocutaneo (prelevato in regione della coscia tramite un’incisione di circa 4 mm) in regione subcondrale. Nel caso di lesioni maggiore è necessario creare un supporto attraverso l’innesto di una membrana collagenica.
  6. Asportazione dell’osteofita acetabolare (PINCER) attraverso uno strumento motorizzato.
  7. Asportazione dell’osteofita femorale (CAM) attraverso uno strumento motorizzato.
  8. Zeppaggio o riempimento di cavita’ ossee con osso sintetico o di banca.
  9. In associazione con la “core decompression” si tratta la necrosi della testa del femore in fase iniziale.
  10. Trattamento di particolari tipi di fratture dell’anca (indicazioni molto limitate)
  11. Asportazione di corpi mobili
  12. Effettuazione di raccolta di materiale bioptico da analizzare
  13. Lavaggio articolare.

 

Riparazione della cartilagine acetabolare con una membrana di collagene ed i fattori di crescita

 

 A fine intervento si suturano i portali con due o tre punti riassorbibili e si posiziona la medicazione. Non bisogna spaventarsi del fatto sia estesa: vengono infatti posizionate molte garze per raccogliere l’eventuale liquido residuo (soluzione fisiologica) che deve uscire e raccogliersi nella medicazione. Se questa si inumidisce, anche assumendo una colorazione rosa o rossa è del tutto normale.

Vengono rimossi i teli del campo operatorio. Il paziente viene traslato su una barella e trasportato fuori dalla sala operatoria, dove può rimanere ancora in osservazione. Appena possibile viene accompagnato fuori dal blocco operatorio, in reparto.

In reparto, in una fase iniziale, non è possibile alzarsi dal letto. Per qualsiasi bisogno, un infermiere è a disposizione su chiamata da un apposito campanello, oltre che durante i numerosi e frequenti controlli.

Salvo casi particolari, è possibile mantenere qualsiasi posizione sia più comoda a letto: anche sul fianco operato.

Nella sera dell’intervento di riposa. Nei giorni successivi inizia subito il percorso riabilitativo.


 

È un intervento impegnativo? Quanto dura? Avrò dolore?

L’intervento di Artroscopia d’Anca ha una durata media di un’ora. Durante l’intervento, anche se si viene sottoposti ad un’anestesia spinale, non si sente alcun dolore. Le gambe sono addormentate. A volte permane la sensazione del tatto. Spesso, grazie alla sedazione, che è possibile ricevere in accordo con il medico anestesista, sopraggiunge il sonno e si viene risvegliati dagli infermieri a fine intervento.

Il tempo complessivo trascorso nel Blocco Operatorio, tra l’uscita ed il ritorno in reparto può durare fino a tre ore. Il dolore postoperatorio è in genere contenuto. Grazie alla possibilità di effettuare l’anestesia spinale, si rimane coperti anche per le ore successive all’intervento chirurgico, quando la possibilità di sentire dolore di grado elevato è maggiore. In seguito, grazie alla terapia analgesica infusionale, il dolore rimane controllato. Il paziente ha di solito anche la possibilità di modulare l’intensità della copertura analgesica o di richiederla al bisogno, per trascorrere il tempo a letto nel modo più confortevole possibile.


 

Cosa succede dopo l’intervento?

Nei primi giorni postoperatori la parola d’ordine è: riposo. Il corpo deve riposare dallo stress ricevuto durante l’intervento. Inoltre, l’anca si deve disinfiammare sia dal recente intervento chirurgico, sia, soprattutto, dal problema funzionale e sovraccarico che si porta dietro da anni, a seguito delle lesioni degenerative che erano presenti. In genere, comunque, la sensazione di sollievo dal dolore inguinale è immediata. Il paziente avverte l’anca “più libera”.

La dimissione avviene in seconda o terza giornata postoperatoria. I successivi controlli verranno effettuati in ambulatorio ed il percorso riabilitativo verrà indicato in modo personalizzato.

È importante prepararsi prima: nel caso si scelga di avvalersi della riabilitazione attraverso il Sistema Sanitario Nazionale, è opportuno prenotare per tempo, in modo di non perdere tempo nel recupero a causa di lunghe liste d’attesa.

Passata la fase più acuta, della durata in genere di sette/dieci giorni, è possibile dedicare maggiori energie al recupero funzionale e muscolare. In questa fase è normale avvertire la ricomparsa di fastidi all’anca o all’arto inferiore, dovuti a fenomeni di adattamento, che miglioreranno con l’esercizio ed il tempo.

I punti cutanei vengono rimossi intorno al quindicesimo giorno postoperatorio, qualora non siano già caduti, essendo riassorbibili. In seguito, è possibile lavare anche la cute guarita. Delle cicatrici, dopo qualche mese, salvo presenza di predisposizioni individuali (cheloidi), rimarranno solo delle piccole linee cutanee di circa un centimetro di estensione, poco visibili.

Il carico viene concesso fin da subito all’arto operato, con l’ausilio di due stampelle, salvo particolari indicazioni da valutare caso per caso. Se è stata effettuato un intervento di condroplastica è in genere richiesto un periodo di carico parziale al massimo del 30% del peso corporeo per 5-6 settimane. Progressivamente si recupera il carico completo e le due stampelle vengono abbandonate.

Tra il secondo ed il terzo mese dall’intervento si riacquistano la maggior parte delle capacità richieste nella vita di tutti i giorni: dalle più banali, come muoversi liberamente per casa, sollevare oggetti poco pesanti a quelle più complesse come effettuare mestieri semplici e sicuri o guidare. Il ritorno a lavori pesanti o attività sportive in genere avviene dal quarto al sesto mese postoperatorio in base alla gravità delle lesioni presenti prima dell’intervento ed al risultato chirurgico ottenuto.

È fondamentale dedicare un momento della giornata ad effettuare parte degli esercizi appresi durante il percorso riabilitativo, soprattutto quelli di stretching e mobilizzazione articolare. Sarebbe una buona abitudine svolgerli a cadenza quotidiana, per rimanere sempre in forma e non perdere i benefici guadagnati.


 

Come sarò seguito/a dopo l’intervento?

Attraverso controlli ambulatoriali programmati e personalizzati, ho la possibilità di seguire i progressi nel piano riabilitativo e monitorare nel tempo lo stato dell’impianto protesico. A cadenza inizialmente mensile e trimestrale i controlli diventeranno poi al bisogno.

Presso l'Istituto Clinico Villa Aprica ho la possibilità di seguire personalmente i pazienti in tutto il loro iter postoperatorio attraverso un ambulatorio dedicato a cui sarà possibile accedere, oltre che per i controlli programmati, anche ogni qualvolta il paziente ne avrà bisogno, previo appuntamento e rapidamente.


 

È un intervento rischioso?

L’intervento di artroscopica d’Anca è un intervento chirurgico sicuro, se effettuato attraverso un’attenta valutazione del paziente, del suo stato di salute generale e delle richieste funzionali.

Questi aspetti vengono analizzati meticolosamente durante tutto il percorso di accertamenti preoperatori.

La scrupolosa attenzione ad individuare a livello preoperatorio i fatturi di rischio individuali, mi ha consentito di avere un’ampia casistica di pazienti operati con risultati ottimali e pieno ritorno alle attività quotidiane senza dolore all’anca.

Per ogni paziente, infatti, discuto e mi accerto che vengano pienamente compresi i rischi dell’intervento, definiti attraverso il documento del consenso informato.

Non smetterò mai di sottolineare l’importanza di effettuare ogni passaggio dell’iter operatorio, dalla prima visita ambulatoriale al pieno recupero dopo l’intervento, con ottica costruttiva: il recupero da un intervento di artroscopia all’anca attraversa fasi impegnative: insieme, supereremo le difficoltà che vi separano dalla ripresa di una vita normale, senza dolore e limitazioni.